Informazioni tecniche
La macula (lutea) è la parte più centrale della retina e quella più importante, in quanto più ricca di cellule fotorecettrici. Su questa zona si focalizzano le immagini e vengono trasformate in impulsi neuroelettrici. Tali cellule inviano poi le informazioni ricevute alla corteccia occipitale attraverso le cellule bipolari e le fibre nervose prodotte dalle cellule gangliari.
L’80% delle patologie degenerative è dovuto a fenomeni atrofici a carico delle strutture cellulari sopra ricordate.
La più frequente tra le cause di atrofia retinica è la degenerazione maculare secca che consiste in una graduale, lenta, atrofia del tessuto coinvolto. Compaiono lesioni caratteristiche denominate drusen, che sono accumuli di detriti cellulari situati al di sotto della retina, tra epitelio pigmentato retinico e membrana di Bruch. La presenza di queste lesioni rimane spesso a lungo asintomatica. Alle drusen seguono alterazioni atrofiche dell’epitelio pigmentato retinico e della coriocapillare ad esse adiacenti. All’atrofia dell’epitelio pigmentato si associa in breve tempo una corrispondente atrofia dei fotorecettori e quindi una perdita visiva tanto più grave quanto più estese e centrali sono le lesioni maculari. Tale patologia è variamente denominata: degenerazione secca, areolare, atrofia geografica, dry AMD. L’atrofia geografica è responsabile del 20% dei casi di cecità legale da degenerazione. Alcuni autori la considerano una eredodistrofia senile.
Altre atrofie della retina sono rappresentate dall’eredodistrofie: con tale nome si intende un complesso di patologie ereditarie dove, per alterazioni genetiche, la retina è priva o carente di quei sistemi enzimatici efficaci nel riparare e mantenere la perfetta efficienza delle cellule nervose. Ne deriva una atrofia vuoi dell’epitelio pigmentato e dunque dei fotorecettori, vuoi delle cellule gangliari e dunque delle fibre nervose che costituiscono il nervo ottico. In genere colpisce già nelle prime decadi di vita.
Tali patologie sono, la retinite pigmentosa, la degenerazione di Stargart, la distrofia dei coni, l’otticopatia di Leber tanto per citare le più frequenti.
Nell’ambito delle atrofie dei tessuti nervosi oculari dobbiamo ricordare anche le subatrofie ottiche, che possono avere differenti origini: tossiche, ischemiche, infiammatorie, glaucomatose. La morte delle fibre nervose, avvenuta per varie cause, determina l’instaurarsi di un circolo vizioso per cui le fibre vitali, adiacenti a quelle morte, finiscono per essere coinvolte nel processo apoptotico (cioè di conseguente morte cellulare) e dunque cessano di vivere anch’esse, determinando una progressiva perdità della funzione visiva.
Esistono evidenze che in molteplici patologie genetiche la turba metabolica causa morte cellulare per apoptosi. L’apoptosi è correlata alla frammentazione del DNA nucleare per l’attivazione di una nucleasi endogena. Questa morte cellulare può essere evitata o comunque procrastinata, attivando il gene Bc12. I fattori di crescita hanno, fra le altre molteplici peculiarità, la capacità di attivare l’espressione del gene Bc12, evitando così il destino di morte, e questo indipendentemente dalla causa innescante.
I fattori di crescita penetrano nelle cellule attraverso specifici recettori il cui numero varia in rapporto alle condizioni metabolico-funzionali cellulari. Sono stati individuati recettori ad alta o bassa affinità, con effetti opposti.
L’osservazione secondo cui l’apoptosi può essere manipolata tramite i fattori di crescita ha supportato la loro somministrazione nella degenerazione tapeto-retinica.
Le iniezioni intravitreali di fattori di crescita (BDNF, CNTF, bFGF) proteggono la retina dall’ischemia indotta da ipertono, da fototraumatismo, ritardano la degenerazione fotorecettoriale nei topi r-d e nei topi mutanti 0344 transgenici per la rodopsina. Sono sempre più numerosi i lavori sperimentali che ne supportano la validità.
In altri termini, tale modalità di trattamento ha il vantaggio di risultare efficace indipendentemente dalla mutazione genica in causa.
Purtroppo l’effetto dei fattori di crescita esogeni ha durata relativamente breve (circa 30 giorni) e l’esecuzione di iniezioni intravitreali espone a rischi flogistici ed emorragici.
Al di là dell’uso di un corretto stile di vita e dell’integrazione di antossidanti e sostanze neurotrofiche, l’unica terapia negli ultimi dieci anni che ha mostrato validità dopo l’insorgenza della malattia atrofica, per bloccare o rallentarne l’evoluzione, è stato l’impianto di lipociti subsclerali. Il razionale si basa sull’effetto rigenerativo che l’increzione nella coroide (il tessuto vascolare che avvolge la retina) di fattori di crescita prodotti dagli adipociti ha sull’epitelio pigmentato e sulla retina stessa.
Da questi risultati clinici si evince l’importanza dei fattori di crescita nelle malattie atrofiche dei tessuti nervosi oculari e della peculiarità che hanno nella genesi dei fattori di crescita gli adipociti.
Nel momento in cui un paziente, che ha già effettuato un trattamento mediante impianto di lipociti subsclerali, comincia a non avere l’effetto desiderato sulla vitalità neurocitica, possiamo utilizzare un concentrato di fattori di crescita che provengono da due fonti molto ricche, e che per giunta sono autologhe, vale a dire prodotte dallo stesso paziente: le piastrine e le cellule adipose.
Il gel piastrinico
Il gel di piastrine è un gel biologico ottenuto dalla combinazione di due componenti del sangue: il plasma ricco di piastrine, contenente numerosi ed importanti fattori di crescita capaci di stimolare meccanismi cellulari implicati nella riparazione e nella rigenerazione tessutale (angiogenesi, chemiotassi dei macrofagi, proliferazione e migrazione dei fibroblasti e sintesi di collagene), e trombina, quale reagente.
Le piastrine attivate, sotto forma di gel, elaborano, immagazzinano e rilasciano numerosi fattori di crescita (PDGF, TGFalfa e beta, IGF I e II, EGF, VEGF) capaci tra l’altro di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimale ed esplicano azione chemiotattica verso polimorfonucleati, monociti e macrofagi. Tra le diverse metodiche impiegate nella riparazione dei tessuti, una nuova tendenza è rappresentata dall’utilizzo di gel piastrinico e fattori di crescita. Il gel piastrinico è una metodica che consente l’utilizzo di fattori di crescita nella forma di Plasma ricco di piastrine (PRP, Platelet Rich Plasma ) per accelerare i processi di guarigione iniziali (attraverso bFGF, PDGF e IGF) e tardivi (attraverso EGF, VEGF, TGF-b, IGF), nell’osso e nei tessuti molli.
Le piastrine elaborano, conservano e rilasciano numerosi fattori di crescita. Concentrando le piastrine o il lisato leuco-piastrinico in sede della lesione si ottiene la liberazione in loco di grandi quantità di fattori di crescita e altri mediatori chimici. Numerosi sono i fattori di crescita noti, tra questi è meglio conosciuta l’attività del PDGF (plated Derived Growth Factor) che ha azione mitogena e antiangiogenetica, regola inoltre l’attività di altri fattori di crescita come: TGF-β, IGF 1 e 2, EGF, VEGF.
Il gel piastrinico autologo (quando proviene dallo stesso organismo) è una sostanza ricchissima di fattori di crescita (Pdgf, Tgf-β, Igf I/II, Fgfb, EGF) che viene prodotta dal prelievo di sangue del paziente affetto da lesione. Il gel piastrinico contiene numerosi e importanti fattori di crescita capaci di stimolare diversi meccanismi cellulari tra cui l’angiogenesi, la chemiotassi dei macrofagi, la proliferazione e la migrazione dei fibroblasti e la sintesi del collagene.
Le piastrine sono paragonabili a dei laboratori-magazzini cellulari che elaborano, immagazzinano e quindi rilasciano (se attivate) numerosi fattori di crescita (growth factors o GFs), capaci di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimali come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali esercitando peraltro, un’azione chemiotattica verso macrofagi, monociti e polimorfonucleati.
Pertanto, rilasciati localmente, i GFs innescano vari meccanismi di rigenerazione tessutale .
Questa capacità delle piastrine ad intervenire nei meccanismi di riparazione tessutale ha costituito il presupposto teorico all’utilizzo del gel di piastrine (PG) in diverse circostanze, tutte accomunate dall’esigenza di attivare un processo di riparazione tessutale.
Riparazione, rigenerazione e guarigione dei tessuti sono fenomeni biologici di estrema complessità in cui intervengono diversi fattori che interagiscono fra loro: età, metabolismo (es. diabete), sede e tipo di lesione, infezioni, infiammazione. La riparazione dei tessuti dipende dalla velocità di crescita delle cellule, dalla capacità del tessuto di riorganizzare la vascolarizzazione. Per poter crescere e riorganizzarsi in tessuto nuovo e coerente, le cellule devono “colloquiare” tra loro scambiandosi informazioni biochimiche mediante “messaggeri molecolari” che vengono prodotti dalle cellule coinvolte nella rigenerazione. Quest’ultime sono sensibili ai fattori di crescita e rispondono migrando nella giusta sede,moltiplicandosi e producendo matrice extracellulare di sostegno.
Quali siano i meccanismi più reconditi mediante i quali il gel di piastrine esplica i suoi benefici effetti non è del tutto noto. Questi effetti, di sicuro, sono legati al lento e costante rilascio locale dei fattori di crescita contenuti in abbondanza nei granuli alfa delle piastrine, e all’azione di tutta una serie di mediatori chimici.
PDGF (platelet derived growth factor) che esplica azione mitogena ed angiogenetica, e coordina l’azione degli altri fattori di crescita (stimolazione dei fibroblasti e degli osteoblasti, induzione della differenziazione cellulare, catalizzatore degli effetti dei fattori di crescita su altre cellule come i macrofagi), aumenta la produzione del tessuto di ricostruzione, accelera la guarigione delle ulcere croniche.
TGF-b (trasforming growth factor-beta) ha azione chemiotattica, di stimolazione dei fibroblasti e degli osteoblasti e d’inibizione degli osteoclasti.
L’IGF I e II (insulin like growth factor I e II ) esercitano prevalente azione sugli osteoblasti.
L’EGF (epidermal growth factor) stimola le cellule epiteliali e mesenchimali.
Gli adipociti
ll tessuto adiposo è un tessuto connettivo propriamente detto, formato da cellule dette adipociti, deputate a sintetizzare, accumulare e cedere lipidi.
E’ noto che gli adipociti, innestati tra sclera e coroide, grazie alla loro attitudine, una volta dislocati in ambiente eterotopico, a produrre una importante quantità di fattori di crescita in particolare di bFGF, possono essere utilizzati nel contenimento dell’evoluzione delle patologie atrofiche del retina.
E’ altrettanto noto che il tessuto adiposo umano adulto è un’importantissima sorgente di cellule staminali mesenchimali (ASCs, Adipose-Derived Stem Cells) che, con opportune tecniche di bioingegneria, quando vengono messe in coltura assieme a stimolatori specifici verso una determinata linea cellulare, possono essere indirizzate a produrre non solo tessuto adiposo ma anche vasi sanguigni, cartilagine, osso.
Le ASCs sono inoltre capaci in tal modo di differenziarsi in progenitori di cellule neuronali che possono essere utilizzate nella rigenerazione di un tessuto neuronale danneggiato o perduto. Risultati positivi ottenuti su modelli animali in vivo ha generato ottimismo in campo di rigenerazione tissutale nervosa; l’utilizzo di cellule staminali adulte, ottenute dal tessuto adiposo sono una potenziale fonte di progenitori cellulari neuronali che possono avere un’importanza fondamentale nelle applicazioni cliniche neurologiche.
Le cellule adipose, in particolar modo quelle progenitrici, sono peraltro una ricca fonte di fattori di crescita. In particolare esprimono e secernono citochine ematopoietiche come il fattore stimolante le colonie macrofagi che (M-CSF), il fattore stimolante le colonie granulocita rie e macrofagiche (GM-CSF); fattori anti-apoptotici, fattori di crescita angiogenici come il VEGF, il PIGF, il bFGF, l’angiogenina; TGF-beta e il fattore di crescita epatocita rio. In condizioni di ipossia le cellule aumentano notevolmente la secrezione del VEGF che determina l’aumento del numero delle cellule endoteliali (quelle dei vasi sanguigni) e la diminuzione del tasso apoptotico.
Secernendo fattori di crescita, gli adipociti riescono a controllare e stimolare la rigenerazione delle cellule della cute danneggiate, favoriscono e velocizzano la guarigione delle ferite, ulcere e difetti cutanei, migliorano la pigmentazione della pelle e promuovono la crescita dei capelli attraverso l’attivazione delle cellule vicine. L’ipossia migliora le funzioni rigenerative degli adipociti tramite l’incremento della secrezione dei fattori di crescita. L’utilizzo di cellule autologhe spongiose dell’osso iliaco in combinazione con adipociti, colla di fibrina e materiali di supporto biodegradabili, hanno mostrato la formazione di nuovo osso ottenuto una continuità del cranio quasi completa.
L’utilizzo di innesti di grasso con cellule adipose progenitrici isolate dall’innesto stesso è divenuta un’alternativa all’aumento chirurgico dei tessuti molli, nei casi di perdita di tessuto mesenchimale, dovuti a traumatismi, resezioni tumorali o insulti vascolari. Ultimamente tale tecnica viene utilizzata anche per l’aumento del seno in chirurgia estetica riportando buoni risultati.
La rigenerazione del tessuto adiposo è molto promettente nella ricostruzione del seno in pazienti che hanno subito una mastectomia per cancro della mammella. Studi clinici hanno dimostrato che gli adipociti hanno impiego anche in gastroenterologia, in quanto sono state usati per il trattamento delle fistole in pazienti affetti da morbo di Crohn, determinandone la chiusura.
La perdita o il difetto di altri tessuti come la cartilagine, può essere trattata con adipociti ad esempio nei difetti acquisiti per trauma o resezioni tumorali. Possono essere utilizzati anche nel trattamento delle articolazioni artritiche o partecipare alla ricostruzione articolare come nell’artrite reumatoide.
Cosa facciamo noi
Presso il Centro Studi Ipovisione dopo dieci anni di esperienza nell’uso di fattori di crescita mediati dal tessuto adiposo orbitarlo abbiamo messo a punto la tecnica più semplice per utilizzare le proprietà dei fattori di crescita derivati dalle piastine e delle cellule progenitrici degli adipociti, modificando la precedente tecnica.
La terapia si basa sulla iniezione con modalità particolare di una opportuna associazione di gel piastrinico e di proadipociti, nel peduncolo adiposo precedentemente impiantato tra sclera e coroide.
L’origine autologa non consente reazioni di rigetto: si tratta di spostare i fattori di crescita da un punto all’altro dell’organismo stesso dove è più alta la richiesta.
Impiantando tali elementi tra retina e sclera otteniamo una azione nutrizionale sull’epitelio pigmentato e sulla retina senza precedenti. L’azione terapeutica di tali cellule mira a ristabilire le condizioni per la vitalità delle cellule nervose e dunque arrestare o rallentare per un ulteriore periodo l’evoluzione della patologia atrofizzante.
Per questo motivo l’azione trofica deve essere idealmente esercitata su cellule ancora vitali.
I risultati sono tanto migliori quando maggiormente conservato è l’epitelio pigmentato e dunque è opportuno intervenire quando la malattia è si già conclamata ma possibilmente in uno stadio precoce.
Sono anche registrabili miglioramenti funzionali anche molto sensibili.
Dunque una valutazione preventiva dell’occhio con strumentazioni sofisticate come lo tomografia ad alta velocità, l’elettroretinogramma e la microperimetria sono fondamentali per conoscere la qualità di queste cellule, individuare il momento migliore per attuare la terapia e dettare la prognosi della malattia e le possibilità terapeutiche dell’intervento.
Il monitoraggio attento della patologia da indicazione all’eventuale reiterazione del trattamento infiltrativo.
Le modifiche apportate al precedente intervento consentono di predisporre il peduncolo e la tasca sclerale ad essere “ricaricati” periodicamente dei fattori di crescita necessari.
E’ sufficiente una semplice iniezione ambulatoriale, per di più esternamente al bulbo oculare, senza dover ripetere l’intervento, Così potremo contenere il decadimento funzionale dell’occhio tipico delle malattie atrofiche più sopra menzionate.